lunedì 15 dicembre 2008

LA FILOSOFIA VEGETARIANA

(...)

1.La scelta vegetariana non è solo l’opzione per una particolare dieta, ma è una vera e propria filosofia di vita: una filosofia in cui l’amore per la sapienza e per la conoscenza e l’accoglienza di sé, degli altri, del mondo con le sue leggi naturali e metafisiche, sfuma completandosi nell’amore verso gli animali.

2.In sintesi la filosofia vegetariana è una scelta etica e solidale, per la salute, il bene-essere e la pace.

3.E’una scelta etica perché è una scelta di non violenza, di rispetto, di compassione, di amore per gli animali, per tutti gli animali: una scelta assolutamente necessaria per progredire in una via di trasformazione interiore e di realizzazione personale, nel contempo contribuendo ad un percorso di evoluzione psico-spirituale collettivo.

4.E’ una scelta solidale perché potrebbe portare ad affrontare in altro modo il problema della fame nel mondo, visto che tanti squilibri tra paesi ricchi e paesi poveri dipendono anche dalla diffusione di allevamenti intensivi che sottraggono proteine vegetali all’alimentazione umana. E’ inoltre una scelta solidale da un punto di vista ecologico perché potrebbe portare ad affrontare problemi in parte causati anche dall’utilizzo di vasti territori per l’allevamento , quali deforestazione,desertificazione, inquinamento.

5.E’ una scelta per la salute perché tiene conto della nostra predisposizione costituzionale all’alimentazione vegetariana. Infatti comparando le nostre unghie, la nostra dentatura, il nostro apparato digerente non possiamo dirci certamente degli animali carnivori, pur potendoci adattare, per motivi ambientali, all’onnivorismo; siamo invece una specie particolare di frugivori-granivori, cioè dovremmo cibarci di frutti e grani della terra ( frutta, verdura,cereali, legumi, semi etc).
Inoltre da un punto di vista istintuale non abbiamo la tendenza ad aggredire ed uccidere gli altri animali né siamo attratti dal gusto del sangue.
Infine lo sviluppo del nostro cervello è tale rispetto agli altri animali da permetterci di diventare consapevoli dei messaggi benevolenti e compassionevoli della guida animica, che sottende e permea l’evoluzione della materia e che quindi in noi umani ispira comportamenti rispettosi ed etici.

6.E’ una scelta per la salute perché è ormai scientificamente riconosciuto che sia una dieta latto-ovo- vegetariana ( cioè senza carne, insaccati, pesce ), sia una dieta vegetariana pura, o che dir si voglia vegetaliana o vegana ( cioè anche senza uova, latte e derivati ), forniscono, ovviamente se equilibrate, tutte le sostanze nutrienti ( proteine, carboidrati,grassi, vitamine, minerali,oligoelementi, fibre etc ). Con la dieta vegana l’unica carenza che si può eventualmente determinare è quella di vitamina B12 soprattutto in particolari fasi della vita ( infanzia, adolescenza, gravidanza, allattamento, vecchiaia ); in tali casi si può tranquillamente prevenire tale possibile carenza assumendo un integratore vitaminico.

7.E’ una scelta per la salute perché è oramai comprovato che una dieta vegetariana ha indubbia azione preventiva nei confronti di malattie che invece possono essere indotte da diete incongrue che privilegiano il consumo di alimenti di derivazione animale; fra tali disfunzioni e malattie possiamo ricordare il sovrappeso e l’obesità, il diabete, le dislipidemie,l’arteriosclerosi,l’infarto cardiaco, l’infarto cerebrale, alcune neoplasie, la gotta…Inoltre ricerche appena agli inizi hanno dimostrato che nei vegetariani l’aspettativa di vita è più lunga di un anno.

8.E’ una scelta per la salute e il bene-essere perché determina un miglioramento della nostra qualità di vita non solo da un punto di vista fisico, ma per tutti i nostri livelli esistenziali, cioè complessivamente i livelli fisico, energetico emozionale,mentale,psichico e spirituale, in una prospettiva relazionale ed ambientale. La nostra vita si riconduce ad una dimensione di equilibrio, armonia, serenità, bene-essere, nell’accezione non tanto estetica, quanto etica del termine: non solo sentirsi bene, ma sentirsi nel bene, nel giusto, nel bello.

9.E’ una scelta per la pace: come pensiamo che ci possa essere pace tra gli uomini, se è attiva ogni giorno una “guerra” contro gli animali non umani, una “guerra” che ne porta al massacro centinaia di milioni ogni anno? Diventando vegetariani, e ancor più vegani, sentiremo il nostro cuore intenerirsi, addolcirsi; sentiremo di poter dare un contributo più vero e concreto allo sviluppo di relazioni rispettose, pacifiche e amorevoli tra tutti gli esseri; sentiremo infine, per chi lo ritenga, che ogni pasto diventa un’occasione intima per una preghiera di ringraziamento e di offerta.

10.L’ultimo punto è un’indicazione comportamentale , comunque dolce e delicata. Se uno ha fatto una scelta vegetariana è oramai tempo che non consideri più questa scelta un fatto personale, da tenere riservato, sentendosi quasi un “diverso” e “rintanandosi”. Bisogna piuttosto che faccia conoscere e apprezzare le mille ragioni dell’orientamento vegetariano; è bene che diventi attivo, incisivo, oppositivo e, se serve, invasivo ed intrusivo; è bene che su questo tema trovi importanti motivi di aggregazione, condivisione,collegamenti e alleanze; è bene infine che contribuisca a far aumentare il peso del movimento vegetariano per giungere a quella massa critica che, auspicabilmente, riuscirà a determinare tangibili cambiamenti culturali, sociali, economici, politici ed ecologici.
( Per esempio una buona opportunità per iniziare tale processo potrebbe già essere quello di dare il proprio personale contributo nel diffondere questo semplice decalogo nell’ambito delle proprie relazioni).

P.S..- Questo decalogo è tratto da un capitolo sulla filosofia vegetariana inserito nel libro “ Psichiatria come Medicina dell’Anima “ di Marco Bertali, Macro Edizioni, 2006.

mercoledì 19 novembre 2008

Il deserto risale lo stivale

di Valentina Robbiati, tratto da Green Cross Italia


È allarme:
la desertificazione minaccia anche la Pianura del Po e l'Emilia Romagna.

"Siccità e desertificazione minacciano la sopravvivenza di un quinto della popolazione mondiale - più di un miliardo di persone - e hanno portato alla riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva in un terzo della Terra (4 miliardi di ettari)".
Sono questi i numeri emersi al convegno "Siccità e Desertificazione" tenuto a Rimini nel novembre 2004 e organizzato da Regione e Arpa Emilia-Romagna per fare il punto sul monitoraggio della desertificazione e della siccità nel bacino del Mediterraneo.

Il concetto di "Desertificazione"
La disponibilità di riserve idriche è fondamentale per l'ecosistema e per le attività primarie dell'uomo e gli eventi siccitosi possono avere un impatto rilevante sia sull'ambiente che sull'economia. La definizione più accettata di desertificazione è stata data dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (UNCDD) dove viene definita come "degradazione del territorio in aree aride, semiaride e sub-umide secche dovuta a vari fattori, comprese la variazioni climatiche e le attività umane". Il concetto di degrado del territorio, che comporta un impoverimento delle qualità del territorio, va distinto da quello di desertificazione. Un'area desertificata perde, infatti, irreversibilmente la capacità di sostenere la produzione agricola e forestale (sterilità funzionale). Nelle regioni aride, semiaride e secche l'indice di aridità oscilla tra 0.05 e 0.65. Questo valore è dato dal rapporto delle precipitazioni annuali e il potenziale di evapo-traspirazione.

Un fenomeno di portata globale
La desertificazione nelle sue forme più intense interessa oltre 100 paesi minacciando la sopravvivenza di più di un miliardo di persone. La situazione è particolarmente drammatica nelle zone aride dove il 70% delle aree, corrispondenti a un quarto dell'intera superficie terrestre, risultano minacciate. Siccità e desertificazione dipendono principalmente dal clima, ma nei paesi del Mediterraneo settentrionale sono dovuti allo sfruttamento intensivo dei terreni e delle risorse idriche e perciò all'uso non sostenibile delle risorse naturali da parte dell'uomo. Si stima che circa 135 milioni di persone rischiano di dover abbandonare la propria terra a causa dell'avanzata del deserto. In Africa, nelle aree del Sahel, del sub-Sahara del Corno d'Africa, dove il processo è ancora più rapido si stima che circa 60 milioni di persone saranno costrette a migrare verso l'Africa del Nord e l'Europa entro il 2020.

Mediterraneo: zona di transizione
Il problema è molto presente anche nelle aree temperate. In questo contesto, il Mediterraneo rappresenta una zona di transizione dove le aree desertificate sono intervallate da quelle a rischio di desertificazione.
I paesi del bacino del Mediterraneo, infatti, negli ultimi anni sono stati interessati da una notevole riduzione delle precipitazioni. La degradazione del territorio nell'area mediterranea è spesso legata a pratiche agricole povere: in risposta ai pericoli naturali, alle siccità, alle inondazioni, agli incendi boschivi e alle attività umane i suoli diventano salini, aridi, sterili e improduttivi. L'abbandono dei campi successivo alla crisi agricola del nostro secolo ha ulteriormente aggravato la situazione e l'economia moderna contribuisce al problema: fertilizzanti, pesticidi, metalli pesanti, agricoltura intensiva e l'introduzione di specie vegetali esotiche invasive stressano incessantemente i nostri suoli.
A lungo l'agricoltura si e' trovata sul banco degli imputati quando si parla di desertificazione, "ma il degrado complessivo delle risorse ambientali e' dato dall'insieme delle attività produttive- sottolinea Massimo Iannetta responsabile del gruppo "Lotta alla Desertificazione" dell'Enea - oltre all'agricoltura ci sono il turismo, l'industria, l'attività estrattiva e l'urbanizzazione che concorrono al processo di desertificazione".
La scarsità di risorse idriche che ne è conseguita ha determinato una crescente sensibilità verso i problemi legati a fenomeni siccitosi che risultano particolarmente gravi nelle regioni a clima arido o semiarido in conseguenza della notevole variabilità delle grandezze idrometeorologiche e dell'elevato grado di sfruttamento delle risorse idriche disponibili.

La desertificazione avanza lungo l'Italia
La percentuale di territorio italiano a rischio desertificazione "e' stabile da un paio di anni al 30% -
continua Massimo Iannetta - la stima delle Nazioni unite del 98-99 era al 27%, ed è cresciuta arrivando al 30% nel 2003. Poi circa due anni di precipitazioni più abbondanti hanno stabilizzato, per ora, il dato".
Studi per mappare il rischio di desertificazione in Italia sono già stati condotti all'interno di progetti condotti su scale globale (Eswaran e Reich, 1998), continentale (progetto DISMED, 2003) e nazionale. Le immagini al satellite del bacino del Mediterraneo rendono un'idea dell'importanza del problema, ma gli studi che analizzano e sommano insieme il contributo del clima, del suolo, della vegetazione, e delle attività umane forniscono un quadro più completo e accurato della situazione territoriale italiana.


. Indice di aridità e stazioni meteorologiche in Italia


Le regioni a rischio

Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna mostrano il processo di desertificazione in stato avanzato. Anche le regioni del centro nord, in particolare Toscana ed Emilia Romagna, manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica e sono sempre più vulnerabili all'irregolarità delle precipitazioni. Il deserto avanza velocemente sulle fasce costiere e nelle zone collinari del Sud: l'analisi climatica del 2003 rivela una tendenza negativa della condizione idrometeorologica dell'Emilia Romagna: i valori dell'Indice di Precipitazione Standardizzato (SPI) segnalano che la regione negli ultimi 50 anni si è gradualmente impoverita di acqua nel terreno, tendendo ad assumere condizioni di moderata siccità, solo a tratti severa. In Emilia Romagna il consumo d'acqua dal 1975 al 2003 è passato da 1,882 a 2,125 milioni di metri cubi all'anno, con incrementi significativi soprattutto per uso agricolo (da 1,002 a 1,405 milioni di metri cubi) e civile (da 350mila a 487mila metri cubi).


Urbanizzazione e agricoltura intensiva sotto accusa
L'Istituto Sperimentale per lo Studio e la Conservazione del Suolo ha sostenuto la realizzazione di un nuovo atlante sul rischio di desertificazione in Italia: qualità del clima, del suolo e della vegetazione sono i 3 indici a cui gli scienziati dell'Agenzia Ambientale Europea hanno fatto riferimento per compilare una mappa con scala 1:250,000. Il dato più preoccupante è che la maggior parte della Sicilia, Puglia e sud della Sardegna hanno indici di aridità inferiori a 0.65, tipici dei territori desertici. Anche i suoli del Sud e parte del Centro Italia, la Pianura Padana e le Alpi sono minacciati da siccità e inaridimento. Nel nostro Paese, caratterizzato da un territorio fortemente antropizzato, l'estendersi dei processi di desertificazione è in rapporto diretto con la crisi delle città principali che ad un assetto tradizionale del paesaggio costituito da sistemi abitativi a forte compenetrazione naturale a basso consumo di risorse, sostituisce un modello basato sulla cementificazione massiccia, il dispendio energetico e l'inquinamento ambientale.
All'urbanizzazione di nuove aree corrisponde l'abbandono e l'esodo dei centri storici con la scomparsa di presidi territoriali capaci di una corretta gestione del paesaggio. Si determina un processo di desertificazione fisico e sociale. Al degrado architettonico, l'erosione dei sistemi montani, collinari e di pendio corrisponde il depauperamento delle risorse umane. L'emigrazione, la eredità di identità, la caduta dei valori sono aspetti socio culturali della desertificazione.

Monitorare e arginare il fenomeno: i progetti su scala nazionale e internazionale
Anche se siccità e desertificazione in Italia sono fenomeni che non hanno la drammaticità del continente africano o di alcune zone di Asia e America Latina, non sono da trascurare. La situazione è ancora sotto controllo, ma il fenomeno sta assumendo sempre più dimensioni generali e segnali negativi provengono dalla pianura bolognese e ravennate.
La Convenzione sulla lotta alla Siccità e alla Desertificazione delle Nazioni Unite (UNCDD), firmata a Parigi nel 1993 e ratificata in Italia nel 1997, rappresenta uno strumento giuridico internazionale che impegna tutti i paesi firmatari (190) a cooperare nella lotta alla desertificazione per attenuare gli effetti della siccità nei paesi gravemente colpiti con un approccio che migliori le condizioni di vita delle popolazioni locali.
Gli sforzi per combattere la desertificazione vengono intensificati a livello locale grazie allo sviluppo e all'attuazione dei Piani di Azione Nazionale (PAN), Sub-Regionale (SRAP) e Regionale (RAP) finalizzati alla riduzione delle perdite di produttività dei suoli causate da cambiamenti climatici e attività antropiche, da elaborare con quelli delle altre regioni. A questo fine, nel 1997, il Governo Italiano ha istituito presso il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, il Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione.

Alle radici del problema: una crisi idrica planetaria
"La Terra è minacciata dalla crisi dell'acqua" avverte la Banca Mondiale. All'inizio del '900, l'Umanità utilizzava circa 600 chilometri cubi di acqua. Oggi ne utilizza 6.000: dieci volte tanto. Negli ultimi dieci anni la popolazione umana è raddoppiata. Ma i consumi di acqua si sono quasi quadruplicati, tanto da sfiorare, ormai le capacità di riciclaggio della natura che, ogni anno, col suo ciclo idrogeologico, rende disponibile all'uomo da 9.000 a 14.000 chilometri cubi di acqua potabile. L'uomo ne utilizza i 40 - 65%, ma si calcola che nel 2050, quando la popolazione mondiale supererà i nove miliardi di persone, la domanda di acqua potabile potrebbe eguagliare, se non superare, l'offerta della Natura.
"E' ormai indispensabile dare un nuovo valore all'acqua - ha dichiarato al convegno di Rimini Guido Tampieri, assessore all'Agricoltura e all'Ambiente - occorre governare questi problemi tenendo conto della dinamica delle risorse, cioè della disponibilità dell'acqua, e non, come spesso accade, assecondando la dinamica della domanda. Bisogna rivedere la gerarchia dei bisogni; ridurre perciò i consumi d'acqua, consumare meno e meglio".

da http://www.greencrossitalia.it


Links:

http://www.unccd.int
http://www.soilmaps.it
http://www.desertification.it
http://www.desertnet.de
http://dismed.eionet.eu.int
http://www.soil-index.com/
http://www.arpa.emr.it
http://www.minambiente.it

lunedì 10 novembre 2008

Macroshift

Macroshift: il punto di biforcazione
Scegliere consapevolmente un futuro sostenibile per il nostro pianeta













Macroshift: Il cambiamento globale

Con il termine macroshift si intende il cambiamento globale, di pensiero e di vita, che una parte dell’umanità sta affrontando e che l’intera umanità dovrebbe scegliere sempre più consapevolmente nell’immediato futuro.


La crisi globale, ecologica,sociale e umana, impone una scelta tra infiniti futuri possibili. Lo Stato del Pianeta è drammatico, tutti i parametri di rischio ambientale, umano e politico - dal surriscaldamento alla sovrappopolazione alla militarizzazione – sono in costante peggioramento.

Non fare nulla significa accettare lo stato attuale e il futuro che comporta.
Dobbiamo scegliere il nostro destino, quello che veramente vogliamo: se continuare l’attuale sviluppo verso un futuro sempre più industrializzato, inquinato, militarizzato e senza rispetto per le minoranze e i paesi poveri, o scegliere un radicale cambio di rotta nella storia umana, un macroshift, una radicale trasformazione del modo di vivere, pensare, comunicare, cooperare ed evolvere insieme verso una civiltà planetaria.

Questo cambiamento e già in atto in ogni stato del mondo con i “creativi culturali” e la nuova cultura emergente, anche se ancora in modo sommerso, minoritario e quindi poco influente nelle decisioni politiche, economiche, sociali, belliche, ecologiche.

Il termine macroshift è stato proposto dal Prof. Ervin Laszlo, filosofo della scienza dei sistemi e promotore della coscienza planetaria, presidente del Club di Budapest e già docente in rinomate università statunitensi ed europee, che ha da pochi mesi pubblicato negli Stati Uniti il libro "Macroshift, cavalcare la trasformazione" che – per l’attualità del tema, anche in relazione alle ansie internazionali per l’incerto futuro collettivo - è già stato tradotto in nove lingue. Il concetto di macroshift è di fondamentale importanza per comprendere in modo articolato e reale le differenti dimensioni di questo fenomeno planetario e dei suoi possibili sviluppi economici, sociali, spirituali.

Gran parte della nuova intelligenza planetaria si sta muovendo in questa direzione, per stimolare una crescita umana, un’evoluzione della coscienza globale.


La crisi terminale
Quella di oggi non è una crisi morale, non è una crisi economica, sociale, assolutamente no: è una crisi evolutiva. (Satprem)

Fino ad ora, la logica del rinnovamento è stata essenzialmente a carattere spontaneo e intuitivo. Non esiste ancora una consapevoleza unitaria di ciò che sta accadendo e certamente questo posssibile futuro rappresenta una sfida alla consapevolezza umana.
È possibile considerare questa crisi planetaria come la crisi terminale del vecchio sistema che ancora in gran parte è presente, come condizionamento inconscio, in ognuno di noi. Tutti siamo nella crisi, tutti dobbiamo rallentare e trasformarci. Non è più possibile continuare sulle attuali anacronistiche linee di sviluppo orientate al possesso e al consumo.
Lo sviluppo materiale ha raggiunto il suo massimo storico, ora è necessario un differente tipo di sviluppo: lo sviluppo delle potenzialità umane. Wei Ji, l’ideogramma cinese che significa “crisi”, è composto da due segni, il primo significa “attenzione, pericolo” e il secondo “opportunità di cambiamento”. Questa crisi globale ci spinge ad una trasformazione globale.
E' necessario un salto evolutivo, non sociale ma individuale. Si rende necessaria una drastica apertura verso nuove e inesplorate visioni del mondo che nascono da differenti esperienze del vivere e dell’essere.


Il punto di biforcazione
Sono molto pessimista sul futuro dell’umanità... forse l’uomo ha terminato il suo cammino, allora è bene che lasci il posto ad un essere più evoluto. (Indira Gandhi)

Ogni analisi fino ad ora formulata sulla situazione attuale del nostro pianeta rivela che di fatto si stanno scontrando due grandi tendenze, due differenti visioni del mondo. Il nostro pianeta, inteso come sistema, si trova di fronte ad un "punto di biforcazione".

Lo stato attuale è di estremo squilibrio e turbolenza sia dal punto di vista ecologico che sociale e quindi il pianeta, come ogni "struttura dissipativa" dovrà confrontarsi con una necessaria scelta tra futuri possibili: o subire questo flusso di energie e informazioni caotiche e disgregarsi, o agire in modo unitario, integrando le energie e informazioni attuali in un livello di equilibrio più elevato e stabile.

Le ragioni di questo enorme aumeno di energia e informazioni è dovuto all'incredibile sviluppo tecnologico-industriale del secolo scorso e alle sue ripercussioni di enorme aumento della produzione, del denaro circolante, dell'inquinamento, dell'informazione, della comunicazione, dell'educazione, della mobilità delle persone tra nazioni, dell'apertura e conseguente destabilizzazione degli antichi sistemi culturali, etnici o religiosi che per millenni sono vissuti isolati gli uni dagli altri.
Il punto di biforcazione è una sfida all'intelligenza e alla consapevolezza planetaria. Una scelta e una sfida che, olograficamente, viviamo dentro di noi.



Le due culture
Ciò che ci aspetta non è una lotta politica, ma una guerra interiore dell’umanità, che si svolge dentro ogni individuo tra l'inconsapevolezza collettiva e la consapevolezza globale.

Dentro di noi si muovono due forze, la prima è dovuta all'imprinting della vecchia cultura patriarcale che ha dominato il pianeta per migliaia di anni, istintiva, basata sul potere dell’uomo sull’uomo, sul possesso dei figli e della terra, sul nazionalismo e sull’identificazione con il proprio gruppo, razza e religione. Questa cultura è basata sulla divisione dell’esistenza in sacro e profano, in bene e male, in materia e coscienza, essa ha diviso il pianeta in stati, religioni, classi e partiti, ha separato l’uomo in psiche e soma, e ha diviso tra loro scienza, arte e spiritualità, allontanando la conoscenza scientifica dalla conoscenza sacra.
Cultura rigida, settoriale, prepotente e fanatica, che tende al condizionamento e al controllo totale delle persone come della società, che si basa sulle direttive di una certa ideologia, fede o principio divino e che lo impone agli altri. Che poi venga chiamato indottrinamento politico, proselitismo religioso o, più semplicemente, il buon nome della famiglia, non cambia la struttura di fondo.

La seconda forza che sta emergendo lentamente dentro di noi è una nuova consapevolezza, alimentata da un’esperienza unitaria di se stessi e da una presa di coscienza globale dell'esistenza e dei problemi del pianeta.
Questa forza si manifesta nella nuova cultura olistica, ancora in germoglio ma con millenni di storia alle spalle, intuitiva, confusa, umana, verde, transculturale, rispettosa della natura e delle minoranze, colorata, trasgressiva, che si fonda sulla bellezza, sui diritti, sull’unità tra corpo, mente e anima, sulla sacralità della vita in ogni suo aspetto. Cultura flessibile e femminile, che per millenni è stata repressa e soffocata anche nel sangue e che solo da alcuni decenni riesce a far sentire la sua voce e le sue ragioni.

Il fatto che queste due forze siano entrambe dentro di noi, spiega l'origine di molti conflitti.
Nella maggior parte delle persone, prevale con decisione la prima forza imponendo un regime di dittatura o monarchia interiore che non lascia spazio ad altre voci o posizioni. In un numero sempre maggiore, le due forze si alternano o si scontrano in un equilibrio instabile, come in una sorta di prima repubblica interiore, più o meno democratica, in continua crisi di governo. In una minoranza, ancora esigua, inizia a prevalere con chiarezza la seconda forza, è lo stato dell'unità, della pace, del senso del bene comune che potremmo anche chiamare meritocrazia interiore, un modello politicamente ancora sconosciuto.
Da queste due profonde correnti di tendenza che si stanno variamente intrecciando e scontrando si sviluppano cambiamenti sociali, culturali e individuali di enorme portata, ma dal futuro ancora imprevedibile.


Le due curve di tendenza
Queste due tendenze possono essere raffigurate con maggior chiarezza con due curve.
Possiamo chiamare la prima curva della "salute planetaria", che riassume in sé i principali valori di benessere-malessere ecosistemico (equilibrio demografico-sovrappopolazione, protezione delle aree ecologiche-industrializzazione, purezza-inquinamento di acqua, terra e aria, rimboschimento-desertificazione, protezione-estinzione di spesie viventi, blanciamento-innalzamento della temperatura globale, ecc.), e la seconda curva di “coscienza planetaria”, che riassume in sé i principali valori umani (pace, qualità della vita, rispetto dei diritti umani, libertà, salute e prevenzione globale, educazione aperta, sviluppo del potenziale umano, evoluzione spirituale, informazione reale).
Si assume che in un pianeta equilibrato, ossia dove gli esseri che costituiscono la mente planetaria sono in stato di unità ed equilibrio, queste due curve dovrebbero seguire un andamento quasi parallelo; ogni processo di aumento di coscienza dovrebbe infatti corrispondere ad un analogo processo di miglioramento della qualità ambientale/ecosistemica globale e viceversa. Sul nostro pianeta purtroppo non è così.
La vecchia cultura continua ad anteporre la propria necessità egoistica a qualsivoglia reale necessità ecosistemica, la curva della salute planetaria, per via di questa inconsapevolezza generale, sta scendendo paurosamente, portandoci sempre più vicino a situazioni di catastrofe globale, ossia di irreversibilità.

La curva della “coscienza planetaria” negli ultimi decenni ha mostrato un rapidissimo aumento, studi statistici evidenziano come il numero di persone che si orientano verso la cultura olistica si raddoppi ogni tre-quattro anni circa; questa rapida crescita potrebbe creare, in poco tempo, un processo di trasformazione sociale che ancora non siamo in grado di prevedere.
Oggi tuttavia il numero totale delle persone "coscienti" è ancora troppo limitato e quindi debole nel suo impatto sociale, politico e ambientale. Diventa così necessario aspettare che il suo incremento arrivi a trasformare una parte significativa di popolazione.

Nei prossimi anni è necessario che l’attuale curva di tendenza al degrado ecosistemico mondiale si inverta e che la curva di crescita di una nuova coscienza emerga, cambiando radicalmente il nostro presente e il nostro futuro.

fonte: Nitamo Federico Montecucco Tratto dal libro: “Cyber la Visione Olistica” Ed.Mediterranee

martedì 4 novembre 2008

lunedì 3 novembre 2008

Energia dalle onde
di Annette Bruhns, traduzione Uwe Wienke

Come trasformare la forza delle onde marine in energia elettrica? In gara ci sono tre concorrenti: il serpente marino, il drago delle onde e la patella. Nessuno sa ancora quale di questi animali meccanici vincerà la gara, ma il premio è alto.
Il World Energy Council (WEC) di Londra stima che il 15 percento del fabbisogno elettrico mondiale potrebbe essere coperto da impianti di sfruttano il moto ondoso dei mari. Questa quantità sarebbe il doppio di quella attualmente prodotta dalle centrali nucleari.
Già da cento anni, gli ingegneri studiano dei metodi con i quali poter sfruttare l’energia dei mari, ma finora l’energia delle onde fornisce energia elettrica solo ad alcune boe in alto mare. L’unica eccezione si trova sulla piccola isola scozzese Isley, abitata da allevatori di pecore e distillatori di whisky. Limpet, “patella”, così si chiama il primo impianto al mondo che sfrutta l’energia delle onde. L’impianto consiste in una struttura di cemento armato ed una turbina che è attaccata, come una patella, appunto, ad uno scoglio, una roccia della costa, ed ha una potenza di 250 chilowatt.


AP La forza delle onde una fonte energetica del futuro? Con la più moderna tecnologia, gli ingegneri tentano di trasformare in energia elettrica.






DPA Centrale Limpet sull’isola scozzese di Islay: La "Patella" è la prima centrale del mondo che sfrutta l’energia delle onde e che immette energia elettrica nella rete con una potenza di 250 kW. La centrale consiste in una struttura di cemento, larga 20 metri, e una turbina che, come una patella su uno scoglio, e attaccata su una roccia della costa.


La “patella” sembra respirare affannosamente. Si tratta dell’aria che entra ed esce dalla turbina. L’apparecchio, installato sette anni fa dall’azienda scozzese Wavegen, trasforma la forza delle onde in aria compressa. Le onde in arrivo penetrano nell’immensa camera di cemento armato e comprime l’aria che si trova al suo interno. Quando l’acqua esce dalla camera, l’aria si espande. La corrente d’aria così generata mette in moto una cosiddetta turbina Wells, inventata dall’ormai defunto ingegnere Alan Wells, fondatore della Wavegen. Questa turbina mantiene la sua direzione di rotazione benché la direzione della corrente d’aria cambi periodicamente.
Limpet è un progetto pilota che, nonostante le sue “malattie infantili” ha avuto così tanto successo che il produttore tedesco di turbine Voith Siemens, due anni fa, ha voluto acquisire la Hydro Power Wavegen.
Gli ingeneri della Voith cercano ora di migliorarne la tecnologia. Oltre alla “patella” originale lunga dieci metri, si sta ora sperimentando con una turbina di tre metri che, con una potenza nominale di 18,5 chilowatt, produce quasi la stessa quantità di energia elettrica che produce la “sorella maggiore”.
La Voith pensa di sostituire in futuro la “patella” più grande con una serie di queste più piccole. Il concetto sembra essere giusto: in Spagna, nei paesi baschi, una società elettrica pensa all’installazione di 16 cosiddette turbine “breakwater” nei nuovi moli del porto di Mutriku. Il progetto, che dovrà produrre elettricità per 200 famiglie, sarà però realizzato solo se potrà beneficiare di un finanziamento dell’Unione Europea.

Wavegen

Turbina: La turbina sviluppata da Alan Wells per la centrale sull’isola scozzese di Islay sfrutta la pressione dell’aria spinta dalle onde. Gira in una sola direzione, nonostante che la direzione del vento cambia periodicamente.

E’ prevista anche una serie di turbine “breakwater”, con una potenza nominale di 3,6 megawatt, da impiantare sull’isola di Lewis nelle Hebridi, commissionata da una società britannica affiliata alla tedesca RWE. Ma anche la società energetica tedesca EnBW sta cercando, congiuntamente alla Voith, un sito adatto sulla costa tedesca del Mare di nord.
Alla Voith sono convinti che la tecnologia “onda-aria” sia molto promettente. “Se non dobbiamo costruire gli onerosi generatori da alto mare e possiamo integrare questi nei nuovi impianti costieri, possiamo essere economicamente imbattibili”; dice il manager Weilepp della Voith. Gli impianti sulla costa non disturbano inoltre la navigazione e la loro manutenzione risulta essere molto più facile e meno costosa rispetto a quelle d’alto mare.
L’ingegnere danese Erik Friis-Madsen è invece del parere che una tale tecnologia non sarà mai in grado di fare concorrenza a quella che sfrutta il vento. “In alto mare, le onde sviluppano un’energia cinque volte maggiore rispetto a quelle in prossimità della costa”. Nel Mare del nord, un’onda sviluppa una potenza che può arrivare a 75 chilowatt al metro, sulla costa, invece, la potenza media di un’onda è compresa tra 5 e 15 chilowatt.
Friis-Madsen sperimenta in alto mare. La sua invenzione si chiama “Drago delle onde”. Ciò che si sta progettando è un vero e proprio mostro: il governo del Galles è disposto ad investire 7,5 milioni di Euro nel “Wave Dragon” che pesa 33.000 tonnellate e ha una larghezza di 300 metri. Il costo complessivo del drago è di 17 milioni di Euro.
Già da tre anni, una versione più piccola del “Wave Dragon” ha dimostrato le sue capacità in un fiordo danese. Il drago funziona secondo il principio della “altezza di caduta indotta dall’onda”: le onde invadono una rampa, l’acqua cade in un serbatoio dove viene raccolta e, ritornando nel mare, aziona un sistema di turbine a bassa pressione.
In futuro, nel Mare celtico si costruirà un intero parco di draghi con una potenza di sette megawatt. Anche in Portogallo è prevista la realizzazione di un simile parco che usa la stessa tecnologia danese. C’è già l’interesse di alcuni investitori, ma manca ancora il grande capitale.
La società Ocean Power Delivery (OPD) di Edinburgh, invece, ha già trovato questi capitali. Le società Norsk Hydro e General Electric sono diventati partner dell’OPD. Per questo motivo, il progetto “Pelamis”, sviluppato dalla società scozzese, potrebbe avere maggiori possibilità di essere realizzato. Si tratta di un impianto del tipo “serpente marino” destinato a funzionare nel mare aperto.

Norsk Hydro
L’impianto "Pelamis" (disegno): il serpente rosso della Scozia produce corrente elettrica usando il principio dell’idrodinamica. Quattro elementi collegati che, insieme, assumono una lunghezza di 150 metri galeggiano perpendicolarmente alla cresta delle onde. I singoli elementi seguono il movimento delle onde.

La tecnologia “Pelamis” è elegante: Il rosso serpente d’acciaio scozzese produce energia elettrica mediante un sistema idrodinamico. Quattro elementi collegati insieme, con una lunghezza complessiva di 150 metri, galleggiano nel mare perpendicolarmente alla cresta delle onde in modo che, i singoli elementi, seguano il moto ondoso. Cilindri idraulici integrati nelle giunture tra gli elementi assorbono il movimento e conferiscono le forze, mediante un sistema idraulico, a sei generatori di elettricità. La potenza complessiva di “Pelamis” è di 750 chilowatt.
Il responsabile per lo sviluppo della OPD, Max Carcas, spiega: “Quando si tratta dell’energia delle onde, quel che conta è il materiale che deve essere impiegato per produrre un chilowattora”. Il serpente marino “Pelamis” pesa 750 tonnellate. Rispetto all’impianto danese, per produrre un decimo di energia occorre solo un quarantesimo del peso.

Norsk Hydro
Prototipo di "Pelamis": Cilindri idraulici integrati nelle giunture tra gli elementi, assorbono il movimento e lo trasmettono, mediante un sistema idraulico, a sei generatori elettrici.

“La più grande prova per un impianto che sfrutti il moto delle onde è la tempesta” , dice Carcas, “o l’impianto si oppone alla massa d’acqua o cede e si adegua”. E “Pelamis possiede proprio questa capacità: non si oppone alle ondate frangenti, ma nella tempesta si immerge nell’onda.
“Pelamis” ha sostenuto il primo test pratico ed ha prodotto elettricità nel clima rigido dell’Atlantico settentrionale davanti alle isole Orkney. Però solo per circa mille ore, ossia per un periodo sensibilmente minore rispetto agli impianti della concorrenza.
I costruttori di „Pelamis“ non amano molto parlare dell’efficienza del loro prodotto, così come anche i tecnici della concorrenza, perché non esiste ancora un metodo standardizzato di valutazione che consentirebbe un confronto. Il rendimento degli impianti è naturalmente inferiore rispetto a quello dei generatori eolici: gli impianti captano solo una parte della forza delle onde della quale solo una piccola parte viene trasmessa alle turbine e ai generatori.
I costruttori di “Pelamis” sono però ottimisti: sono i primi che hanno già potuto vendere alcuni di questi impianti. Un consorzio portoghese, guidato dalla società Enersis, ha acquistato tre “serpenti” per l’ammontare di circa otto milioni di Euro. Questa estate, i tre impianti dovranno essere ancorati davanti a Póvoa de Varzim, a nord del Portogallo.
Se l’operazione dovesse avere successo, l’Enersis pensa ad un contratto per altre 28 macchine che potrebbero formare un parco con una potenza installata di 20 megawatt, sufficiente per l’approvvigionamento di 15.000 famiglie. Anche una società britannica, affiliata di E.on, pensa all’installazione di un impianto che sfrutti il moto ondoso. Poche settimane fa, la Scottish Power ha fatto sapere che costruirà un parco di “serpenti” ad ovest delle Orkney.
L’ingegnere Carcas è anch’egli ottimista: già nel giro di tre o quattro anni, la tecnologia dell’OPD potrebbe competere con i windpark off-shore. E questo non solo dal punto di vista economico: rispetto ai generatori eolici, per la stessa potenza installata, gli impianti che sfruttano la forza delle onde necessitano solo della metà dello spazio necessario a quelli eolici. E questo, in futuro, potrebbe essere un vantaggio decisivo: anche sul mare lo spazio non è illimitato.

Fonte: (Annette Bruhns, Schlange, Drache oder Schnecke?, in: Spiegel Spezial 27.03.2007)
Tratto da: www.miniwatt.it

venerdì 31 ottobre 2008

Prendi il comando!

Anche se il cambiamento climatico è un problema globale, è necessario il contributo personale di ognuno di noi. Anche semplici gesti quotidiani possono aiutare a ridurre le emissioni senza pregiudicare la nostra qualità della vita. Anzi, facendoci risparmiare.

Sei tu che controlli i cambiamenti climatici!

Per saperne di più su come prendere il comando, clicca sul tasto corrispondente.

Attenzione: tutti i dati forniti in questa sezione si basano su medie, ma il consumo di energia degli elettrodomestici, il consumo di carburante delle automobili, la dimensione delle abitazioni, le abitudini di consumo energetico e i prezzi dell’elettricità mostrano considerevoli variazioni all'interno dell'UE. Pertanto, le misure che deciderete di adottare potranno recare benefici superiori o inferiori (sia per il clima, sia per il vostro portafogli) rispetto a quanto affermato in queste pagine.
Né la Commissione europea né alcuna persona che agisca per suo conto possono essere ritenute responsabili dell'uso delle informazioni fornite, né di eventuali errori riscontrati nonostante l'attenta preparazione e i ripetuti controlli. Per le informazioni protette da copyright dovrà essere ottenuta l’autorizzazione del proprietario, in conformità con le norme vigenti.

Tratto da: http://ec.europa.eu/environment/climat/campaign/control/takecontrol_it.htm

giovedì 30 ottobre 2008

La febbre climatica del Sistema Solare



Ghiacci polari che si sciolgono, neve su Marte, esagoni su Saturno e triplici macchie su Giove. Il 2012 si avvicina ma per la scienza è tutto normalissimo, anzi inspiegabile.


Di Pablo Ayo
pubblicato il 2 ottobre 2008


Ci sono stati molti momenti salienti nella storia dell’umanità: il 1945 verrà ricordato per le esplosioni atomiche di Nagasaki e Hiroshima, il 1963 per l’omicidio di Kennedy, il 1969 per la conquista della Luna (forse) e il festival di Woodstock. Il 1979 per il trattato SALT II di non proliferazione nucleare, il 1983 per l’attentato a Woityla.
E il 2008? Lungi dall’essere annoverato come l’anno della ripresa economica dell’Italia, ancora alle prese con problemi vecchi e privilegi del tutto nuovi della casta dirigente, ormai ingiudicabili persino dalla legge, quest’anno verrà ricordato per l’estate in cui il Polo Nord si sciolse.
Per carità, i Poli perdono ghiaccio ogni estate, in percentuale, e i più sereni d’animo si affretteranno a dire che noi “catastrofisti” siamo sempre pronti a gridare al lupo per ogni bazzecola. Eppure, tutte le principali testate scientifiche si sono ritrovate, loro malgrado, a dover diffondere una notizia tanto inattesa quanto imbarazzante: la scorsa estate, mentre noi cercavamo refrigerio tra gli ombrelloni della riviera o in un sorso di granatina alla menta, per la prima volta nella storia documentata il Polo Nord si è ritrovato completamente libero dai ghiacci, che loro malgrado si sono ritirati dai cocenti e onnipresenti raggi solari sulle lontane coste del Canada.

Quest’estate i giornali titolavano così:
“L'Artico può essere circumnavigato, è la prima volta in 125mila anni”
L’articolo spiegava che per la prima volta a memoria d'uomo sarà possibile circumnavigare l'intero Polo Nord. «Foto satellitari scattate due giorni fa mostrano che lo scioglimento dei ghiacci verificatosi la settimana scorsa ha finalmente aperto contemporaneamente sia il favoleggiato Passaggio a Nord-Ovest che il passaggio a Nord-Est. A dimostrarlo sono immagini scattate da satelliti NASA. Il Passaggio Nord Ovest, nel territorio canadese, si è aperto nello scorso fine settimana, mentre l'ultima lingua di ghiaccio che ostruiva il Mare di Laptev, in Siberia, si è disciolta qualche giorno dopo.»

Un evento clamoroso che, se da un lato corona il sogno secolare di generazioni di esploratori, navigatori e viaggiatori, dall'altro rappresenta un preoccupante segnale dell'accelerarsi del processo del riscaldamento globale. Negli scorsi decenni, in varie occasioni si è verificata la situazione dell'apertura dell'uno o dell'altro passaggio ma mai era accaduto che entrambe le due misteriose porte dell'artico si dischiudessero simultaneamente. Questo è solo l'ultimo segnale della crisi dell'intero ecosistema artico. Solo poco tempo fa, il National snow and ice data center (NSIDC) statunitense aveva informato che quest’anno l'estensione globale del ghiaccio artico è prossima a battere il record negativo, dello scorso anno, di 4,14 milioni di chilometri quadrati: un valore inferiore di oltre un milione di metri cubi al record precedente, fissato nell'estate 2005. In due anni, i ghiacci del Polo Nord si sono ritirati per un'estensione grande quattro volte l'Italia.

L’estate del 2008, i turisti sono stati fatti evacuare dal Parco Nazionale Auyuittung, nell'Isola di Baffin, la grande isola del Nunavut canadese situata a occidente della Groenlandia, a causa dello scioglimento dei ghiacci: "Auyuittung", in lingua inuit, significa "terra che non scioglie mai"... E sempre estiva è la notizia che nove orsi polari, rimasti senza habitat, sono stati visti nuotare in mare aperto, dopo un immenso crollo nel ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, in un'area che si riteneva ancora immune dagli effetti del global warming.
Ma è la simultanea apertura del Passaggio Nord Ovest, intorno al Canada, e del Passaggio Nord Est, intorno alla Russia, a costituire un vero e proprio choc. Non accadeva, secondo i climatologi, da almeno 125mila anni. Dall'inizio dell'ultima era glaciale erano rimasti entrambi bloccati: nel 2005 si era aperto solo il Passaggio Nord Est, l'estate seguente era accaduto il contrario.

«I passaggi sono aperti, è un evento storico, ma con il quale dovremmo abituarci a convivere nei prossimi anni», ha confermato il professor Mark Serreze, uno specialista di mari ghiacciati del NSIDC, sottolineando però che le autorità marine dei Paesi interessati potrebbero essere riluttanti ad ammetterlo, per evitare di essere citate a giudizio dalle compagnie di navigazione, le cui imbarcazioni dovessero incontrare ghiaccio e subire danni.

Gli armatori però sono tutt'altro che disinteressati. Il “Beluga Group” di Brema, ad esempio, ha già fatto sapere che manderà navi dalla Germania al Giappone via Passaggio Nord Est, con un taglio netto di 4000 miglia nautiche, quasi 7.500 km , rispetto alla rotta tradizionale. E il premier canadese Stephen Harper ha già fatto sapere che chiunque volesse attraversare il Passaggio Nord Ovest dovrebbe fare riferimento ad Ottawa: un punto di vista, questo, che non piace agli USA, che considerano quella parte di Artico acque internazionali.
I climatologi però rimarcano che simili dispute potrebbero essere irrilevanti, se il ghiaccio continuasse a sciogliersi al ritmo attuale. In tal caso, infatti, sarebbe possibile navigare direttamente attraverso il Polo Nord, completamente liberato dai ghiacci. Evento questo, che fino a poco tempo fa si riteneva possibile che dal 2070. Ora, però, molti studiosi indicano il 2030 come l'anno entro il quale l'Oceano Artico sarà completamente fluido in estate, mentre uno studio del professor Wieslaw Maslowski, della Naval Postgraduate School di Monterey, California, arriva a concludere che già dal 2013 il mare sarà completamente aperto da metà luglio a metà settembre. Il "punto di rottura", l'evento che ha ulteriormente accelerato il processo di scioglimento, è costituito dalla perdita-record di massa ghiacciata, dello scorso anno: le masse solide sono scese a un livello che non si attendeva fino al 2050, mandando all'aria tutti i calcoli prodotti fino a quel momento.



Pianeti in tempesta
Naturalmente queste notizie sono preoccupanti, specie per chi ha letto diverse antiche profezie su di un possibile cataclisma situato cronologicamente attorno al 2012, o per tutte quelle numerose persone che da tempo hanno dei sogni ricorrenti su di un’onda titanica che sommerge persone e città. Ma a chi afferma, come l’ex-quasi Presidente USA Al Gore, che i cambiamenti climatici sono unicamente colpa del nostro inquinamento, andrebbe spiegato che il fenomeno dei cambiamenti di clima non appartiene solo alla Terra, ma appare - con un bizzarro crescendo rossiniano - in tutti i pianeti del nostro Sistema Solare.

È di poco fa la notizia, alquanto sconcertante, della neve su Marte. Fino a ieri gli scienziati della NASA o gli esperti di astronomia di tutto il mondo, alla domanda se su Marte fosse possibile una bella nevicata, vi avrebbero risposto di no, accompagnando la loro affermazione scientificamente sicura al 100% con una smorfia di compatimento e l’atteggiamento superiore di chi spiega al nipotino un po’ lento nell’apprendere le cose fondamentali della vita. Pochi giorni fa, lo shock. Nevica su Marte, evento ripreso sia dalle sonde orbitali che da quelle sul suolo marziano, come la Phoenix. L ’evento è circoscritto a poche zone, e la neve si è sciolta prima di toccare terra, ma l’evento, stimato come “assolutamente impossibile” dagli astronomi, ha lasciato tutti di stucco.
«Non si è mai visto niente del genere su Marte prima d'ora - ha dichiarato Jim Whiteway, docente di ingegneria spaziale dell'università di York, a Toronto (Canada) - ora siamo alla ricerca di possibili segni lasciati in passato dalla neve sul terreno». Il primo passo è stato cercare le tracce di antiche nevicate marziane nei campioni di terreno analizzati dal laboratorio Tega (Thermal and Evolved Gaz Analyzer) a bordo di Phoenix: i dati, rileva la Nasa , mostrano la presenza di carbonato di calcio e particelle simili a terra argillosa. «Sulla Terra la maggior parte dei carbonati e dell'argilla si sono formati solo in presenza di acqua liquida. Questo - secondo l'esperto - potrebbe confortare l'ipotesi di precipitazioni anche sul suolo di Marte».

Insomma gli scienziati “ufficiali” e accademici sono sempre pronti a smentire le ricerche di frontiera di chi cerca di trovare spiegazioni innovative e alternative a quelle ufficiali, salvo poi rimanere letteralmente senza parole e senza spiegazioni di fronte all’imprevisto. Persino sul sito della NASA, al riguardo, oltre una stringata spiegazione degli eventi, appare solo un laconico «Le analisi sono ancora in corso».



Tre cicloni su Giove
Intanto, adesso sono tre le Macchie Rosse di Giove. Quanti si sono interessati al gigantesco pianeta Giove, avranno certo sentito parlare della Macchia Rossa, un immenso vortice che viene osservato fin dal 1665 (la scoperta è attribuita al nostro Cassini, fors'anche preceduto l'anno prima dall'inglese Hooke) nell'atmosfera di questo mondo e che si presenta con apparenze cangianti, a seconda del livello che raggiunge tra i fitti strati nuvolosi che avviluppano la mostruosa palla planetaria di idrogeno e di elio che è Giove. La macchia può presentarsi più o meno nettamente delineata, talvolta si decolora e quasi sparisce, altre volte appare di un rosa-arancione più o meno carico. In dimensioni supera di tre volte il diametro della Terra, in cifre sono circa 40 mila chilometri. Sul perché si sia formata e continui a cambiare apparenze non è facile rispondere : la Macchia probabilmente è il frutto del continuo sfioramento fra le grandi bande che solcano il pianeta, al confine fra quella sudequatoriale e la "zona" più chiara che la affianca: da questo deriverebbe pure il suo moto di rotazione, che non è uniforme e si accompagna a una certa "deriva" della Macchia in longitudine, in un'atmosfera che è tutta in movimento.
La macchia è alimentate sia dal calore che Giove riceve dal Sole che da quanto ne risale dal suo stesso interno, in cui predominano largamente composti di idrogeno e di elio, i due gas più leggeri.

In ogni caso, nel 2006 il telescopio spaziale "Hubble" individuò una seconda formazione lenticolare non lontano dalla Macchia Rossa e di dimensioni sensibilmente minori, che ricevette il nome di Red Spot Jr. Ma recenti osservazioni ne hanno messo in evidenza pure una terza, segnalata da Andrei Cheng dell'università John Hopkins: come è possibile che nell'arco di pochi anni siano apparsi questi oggetti la cui formazione chiama in gioco notevoli energie? E come si verifica tutto ciò? Il clima di Giove sta cambiando, forse è tutta l'atmosfera del pianeta che si scalda, come avviene oggi sulla Terra, dove si registra un notevole aumento di intensità e di numero degli uragani. C'è un perché di queste variazioni climatiche del gigantesco Giove? Forse le nuove macchie ci aiuteranno a capirlo, e non si esclude che possano fondersi, dando luogo a una macchia grandissima, come quelle talvolta apparse e osservate a lungo su Saturno, altro pianeta su cui si scatenano tali uragani. Quanto alle colorazioni rossastre, vengono attribuite a vapori di zolfo.



I vortici polari di Venere
Ma le anomali climatiche non riguardano solamente Marte: già nel Novembre del 2006 la navicella europea «Venus Express» svelò dei giganteschi vortici atmosferici che si avvitavano intorno ai poli del pianeta Venere. Secondo alcuni ricercatori, i fenomeni sono interessanti in sé, ma diventano ancora più interessanti se messi a confronto con fenomeni analoghi che avvengono sulla Terra. La «planetologia comparata» è una delle tante nuove discipline scientifiche che l’esplorazione dello spazio ha reso possibile.
L’atmosfera di Venere compie un giro intero del pianeta nell’arco di quattro giorni. La sonda della Nasa Pioneer Venus 25 anni fa scoprì il vortice polare Nord. Le immagini erano a risoluzione molto bassa, ma nel 2006 Venus Express ci mostrò particolari minutissimi. La cosa singolare è che questo ciclone Nord aveva due «occhi»: due tornadi in uno. Quando la sonda europea nell’aprile 2006 è arrivata in vista di Venere, subito gli scienziati dell’Esa sono andati a vedere se il polo Sud di Venere avesse un ciclone simile: e in effetti ce l’ha. Questi vortici polari, presenti anche su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, sia pure con diversa intensità, sono la chiave per capire come funzionano le atmosfere di questi pianeti. Ogni vortice risente, naturalmente, della Forza di Coriolis, una componente trasversale dovuta alla rotazione del pianeta. E poiché la velocità di rotazione varia molto da pianeta a pianeta (per esempio Giove ruota molto rapidamente e Venere molto lentamente), la Forza di Coriolis contribuisce al diverso aspetto dei vortici polari.

«Siamo però ancora lontani - dice Pierre Drossart, astronomo dell’Osservatorio di Parigi - dall’aver compreso la genesi dei vortici polari di Venere: qui la Forza di Coriolis è debolissima, e certamente ciò ha a che vedere con i due lobi in cui si suddivide il ciclone, formando i suoi due “occhi”. Il meccanismo preciso tuttavia ci sfugge».

Agli scienziati il meccanismo di questi cicloni “sfugge”. Si tratta di una meccanica del sistema solare che Maya e antichi Sumeri avevano compreso benissimo, ma quando qualche ricercatore indipendente prova a farlo notare agli accademici, questi sostengono che è impossibile per dei selvaggi aver trovato soluzioni che a loro sfuggono. Un ottimo esempio in questo senso sono i Dogon. I Dogon sono una popolazione che vive vicino Mandiagara, 300 Km a sud di Timbuctu, nel Mali. Due antropologi, Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, li hanno studiati dal 1931 al 1952, e hanno descritto una cerimonia associata con la stella Sirio, che si tiene ogni 60 anni. Griaule e Dieterlen sostengono che i Dogon hanno diverse conoscenze sul sistema di Sirio che non è possibile ottenere se non con mezzi "moderni". In particolare conoscono l'esistenza di una stella compagna (Sirio B, indicata dalla freccia accanto alla luminosissima Sirio A), che ruota attorno a Sirio con un periodo di 50 anni, e che è composta di materia incredibilmente pesante. Sirio B è visible solo con un telescopio di discrete dimensioni, e la sua massa è stata determinata con tutto l'armamentario teorico dell'astronomia dell'inizio del secolo. Griaule e Dieterlen non fanno nessuna ipotesi su come i Dogon siano venuti a conoscere questi fatti. La storia ha avuto però un "boom" con un libro di Robert Temple, in cui questi ha ipotizzato che i Dogon conoscessero questi fatti da almeno 500 anni, e che li avessero appresi da esseri anfibi provenienti da Sirio. Altri "studiosi" ipotizzano che le conoscenze derivassero dagli egizi, e che questi ultimi avessero telescopi in grado di vedere Sirio B. Ad ogni modo, selvaggi 1, scienziati 0.




L’esagono di Saturno
Sempre nel novembre 2006 è la notizia di insoliti tornadi su Saturno. Nei giornali dell’epoca si stigmatizzava come le immagini della sonda NASA-ESA Cassini avessero permesso di individuare una gigantesca tempesta, grande due terzi del diametro terrestre, e che occupa 8000 km del Polo Sud di Saturno. La tempesta rappresentava una assoluta novità osservativa su pianeti che non siano la Terra ; aveva caratteristiche molto simili a quelle di un uragano anche se, come disse il dott. Andrew Ingersoll, membro della squadra Cassini, «Assomiglia ad un uragano, ma non si comporta come un uragano - Qualunque cosa sia, stiamo cercando di mettere a fuoco l'occhio di questa tempesta per scoprire perchè è là».
Anche in questo caso, gli scienziati non sanno cosa pensare, né hanno idea dell’origine del bizzarro comportamento climatico dei pianeti.

Passa un anno e nel Marzo del 2007, sempre la sonda Cassini mostra le incredibili immagini di un nuovo uragano su Saturno, talmente grande da includere tutto il proprio polo nord. Ma la cosa incredibile è che questa volta la formazione ciclonica è di forma esagonale!
«È una cosa molto strana, il ciclone ha una forma geometrica assolutamente precisa presentando 6 lati praticamente di proporzioni perfettamente identiche», affermò allora Kevin Baines, esperto atmosferico e membro del team che curava lo spettrometro ad infrarossi della sonda Cassini al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena. «Non abbiamo mai visto niente del genere su nessun altro pianeta. Anzi, la densa atmosfera di Saturno è dominata da onde che plasmano le nubi in modo circolare e celle convettive che fanno lo stesso lavoro, per cui è forse il pianeta del sistema solare in cui meno ti potresti aspettare l’apparizione di una formazione ciclonica in forma di una precisa figura geometrica a sei facce. Eppure è lì».

In che mani siamo? I sedicenti scienziati della NASA e dell’ESA che sono convintissimi di aver compreso ormai quasi tutto del nostro Sistema Solare e del ciclo vitale dei pianeti, ora balbettano frasi sconnesse, tutti allo stesso modo, scioccati da comportamenti planetari per loro assurdi. Eppure gli antichi sapevano che i pianeti sono paragonabili a degli esseri viventi, con dei loro ritmi vitali, e che ogni cosa nell’universo è collegata, specie i pianeti e le stelle. Per gli indiani d’America, ogni cosa, pianta, persona, animale e corpo celeste formano un tutt’uno. E i cambiamenti previsti dalle profezie Maya per il 2012 stranamente stanno collimando con un cambiamento climatico contemporaneo di tutti i pianeti del sistema solare. Forse un caso, forse un’evento isolato e scientificamente spiegabile. A tutt’ora, però, la scienza non sa dare risposte, né formulare teorie. A noi rimane solo di osservare il cielo con fiducia, aspettando il sorgere di un nuovo Sole.

«Allora, io ero la, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c'era l'intero cerchio del mondo. E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa, e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere. E io dico che il sacro cerchio del mio popolo era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio, largo come la luce del giorno e delle stelle, e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo di tutti i figli di un'unica madre ed in un unico padre. E io vidi che era sacro... E il centro del mondo è dovunque.»
- Alce Nero (Nicholas Black Elk) Oglala dei Teton Dakota, una delle divisioni più potenti della grande famiglia Sioux.

tratto da: www.disinformazione.it


Video con un'intervista esclusiva di Gregg Braden a Voyager (prima parte)


(seconda parte)

sabato 25 ottobre 2008

Sai valutare il tempo?

RIFLESSIONI SUL TEMPO A NOSTRA DISPOSIZIONE
Immagina che esista una Banca che ogni mattina accredita la somma di lit. 86.400 sul tuo conto. Non conserva il tuo saldo giornaliero. Ogni notte cancella qualsiasi quantità del tuo saldo che non sia stata utilizzata durante il giorno. Che faresti? Ritireresti fino all'ultimo centesimo ovviamente!!! Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa Banca. Il suo nome?
T E M P O
Ogni mattina questa Banca ti accredita 86.400 secondi. Ogni notte questa Banca cancella e da come perduta qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito. Questa Banca non conserva saldi nè permette trasferimenti. Ogni giorno ti apre un nuovo conto.
Ogni notte elimina il saldo del giorno. Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua. Non si può fare marcia indietro. Non esistono accrediti sul tuo conto di domani. Devi vivere il presente con il deposito di oggi. Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute felicità e successo. L'orologio continua il suo cammino. Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che ha perduto un anno di studio. Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito prematuramente. Per capire il valore di una settimana, chiedi all'editore di un settimanale. Per capire il valore di un' ora, chiedi a due innamorati che attendono di incontrarsi. Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perso il treno. Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato un incidente. Per capire il valore di un milionesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha vinto la medaglia d'argento alle Olimpiadi. Dai valore ad ogni momento che vivi, e dagli ancor più valore se lo potrai condividere con una persona speciale, quel tanto speciale da dedicarle il tuo tempo e ricorda che il tempo non aspetta nessuno.
Ieri?............Storia!
Domani?…….Mistero!
E' per questo che esiste il presente!!! Ricorda ancora, il tempo non ti aspetterà. Dai valore ad ogni momento a tua disposizione.